Le sens commun
L'«essere» come oggetto formale dell'intelligenza e la nozione di senso comune quale filosofia dell'essere allo stato rudimentale
di Mario Padovano
Nel suo capolavoro Le sens commun. La philosophie de l'être et les formules dogmatiques Garrigou-Lagrange si sforza preliminarmente di mostrare il valore dell'intelligenza umana fondandolo sulla fenomenologia dell'atto intenzionale vòlto a cogliere l'essere delle cose e pertanto la realtà e i principi ontologici, per cui appare subito confutata qualsiasi teoria soggettivista sia essa razionalistica che anti-intellettualistica. Solo se si mostra che l'essere è l'oggetto formale dell'intelligenza si può passare poi a una più rigorosa fenomenologia e formulazione del valore e della portata del senso comune e delle evidenze primarie in esso contenute. Il filosofo francese, peraltro, dà per la prima volta quella definizione, che colpisce per la sua lucidità e lapidarietà, di senso comune, che ne coglie l'aspetto fondamentale e ciò che essenzialmente è: intelligenza naturale e spontanea, alla base di ogni altro successivo atto di conoscenza. E pertanto ribadire la teoria, centrale nel pensiero di San Tommaso d'Aquino, dell'ens come primum cognitum, mostra tutta l'universalità e insieme l'oggettività della nostra conoscenza e innanzitutto di quella primaria e originaria. Assume qui una parte importantissima la confutazione del nominalismo evoluzionistico di matrice bergsoniana. Nel confutare la teoria nominalistica di Le Roy e le altre teorie opposte alla filosofia dell'essere, Garrigou-Lagrange si muove rilevandone le assurdità interne e mostrando la validità della teoria concettualistico-realista del senso comune e l'intrinseco rapporto tra la filosofia tradizionale e le prime certezze dell'intelligenza spontanea e naturale. E per prima cosa dimostra che la teoria dell’intuizione bergsoniana per cui l'intelligenza è ridotta a facoltà pratica e il concetto a semplice immagine (sensibile) seppur accompagnata da un nome (un nome privo di significato intelligibile) cade invece nell'incosciente. La critica è fortissima, perché Bergson e i suoi discepoli, Le Roy compreso, si trovano a non poter così più giustificare la coscienza medesima della intuizione e della stessa durata (ossia la res che, secondo la teoria bergsoniana, sarebbe l'oggetto della detta intuizione) e per ciò stesso la inevitabile concettualizzazione pur presente nelle loro opere. Garrigou-Lagrange, nel compiere questo discorso confutativo si è molto basato sulle osservazioni critiche di Jacob, Couturat e Poincaré. Tuttavia è agli accenni a questi tre intellettuali suddetti che si riduce la confutazione dal punto di vista epistemico del nostro, mentre prevale la discussione delle conseguenze metafisiche degli stessi principi bergsoniani, come rammenta il già citato Cottier: «Le P. Garrigou-Lagrange tend à ramener directement les questions au niveau métaphysique, sans prêter attention aux médiations épistémologiques» (COTTIER in COVINO 2012, p. 26). Se sviluppata, questa critica epistemica, come riteniamo, può invece essere di grande aiuto in quello che Sofia Vanni Rovighi chiamava «eliminazione dei pregiudizi» (cfr VANNI ROVIGHI 1962, pp. 97-98). Ovviamente la critica epistemica ha anche l'altra faccia di «logica aletica», ovvero di valutazione del risultato del processo conoscitivo in rapporto al "valore-verità" che si pone, come dice Livi (cfr LIVI 2005, p.57), come «ricerca di ciò che in ogni discorso e nel pensiero come tale è fondamentale e fondativo», che «esige un approccio alla materia che sia olistico (che prenda cioè sistematicamente in considerazione il contesto di ogni discorso, ossia tutte le sue presupposizioni) e anche fondazionistico (ossia capace di individuare nel contesto le presupposizioni di base che costituiscono le condizioni di possibilità per l'enunciazione della verità)». E possiamo dire altresì che il criterio di base di questa risoluzione aletica consiste proprio in quello fondamentale dell'evidenza oggettiva o dell'essere evidente per cui come spiega Garrigou-Lagrange: «La connaissance étant connaissance de quelque chose doit être déterminée par ce quelque chose et l'atteindre, sous peine de n'en pas être la connaissance» (GARRIGOU-LAGRANGE,1936, p.135). L'idea stessa, il concetto, non è che la pura rappresentazione nella mente della res appresa. C'è da dire anche che il punto in cui Garrigou-Lagrange sviluppa la dottrina suddetta dell’evidenza oggettiva o dell’essere evidente (Parte I, cap. 2, par. 14) è lo stesso in cui inserisce pure la stessa critica alla scuola scozzese del senso comune, accusata di appoggiarsi, nel suo discorso confutativo dell'empirismo scettico, sul senso comune senza giustificarlo, lasciando trasparire così facendo una sorta di accettazione da parte loro degli stessi pregiudizi degli avversari, delle stesse premesse di questi ultimi, parlando del senso comune come di un vago istinto (instinct) mentre l'intelligenza «lorsqu'elle juge et affirme sa conformité avec l'objet, voit cette conformité ou ne la voit pas. Si elle la voit, sa certitude ne s'appuie plus sur l'instinct dont parlent Reid et Jouffroy» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 135). Ed è chiaro che al modo degli scozzesi non si confutano affatto quelle correnti di pensiero che, come le chiama il nostro teologo, non sono altro che «processi al senso comune» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 26). Insomma è una critica ai modi velleitari di questi pensatori pur anti-scettici, almeno nelle intenzioni. Un altro punto importante della disamina del domenicano francese è che proprio se non si ammette l'intelligenza come essenzialmente relativa all'essere, a tutto l'essere, suo oggetto formale, si arriva ad annullare la stessa auto-coscienza. Nel secondo paragrafo del primo capitolo della prima parte è sviluppato fondamentalmente questo concetto: non si può confutare il nominalismo e in generale, diciamo noi prendendo spunto dal testo, le filosofie cosiddette immanentistiche, senza mostrare che l'oggetto formale dell'intelligenza sia l'essere, e che questa è condizione necessaria per la conoscenza che si ha della stessa conoscenza (auto-coscienza o coscienza della coscienza) e che pertanto «le morcelage du continu sensible», di cui parlava Le Roy, è invece «celui de l'être ou de l'intelligible», ossia le distinzioni di potenza e atto, sostanza e accidenti, essenza ed atto d'essere, ecc.. Ma le Roy parlava in quei termini dell'intelligenza perché si basava sulla teoria nominalistica il cui punto di partenza è proprio l'assimilazione del concetto, o immagine mentale, all'immagine sensibile, vedendo in esso non l'espressione dell'universale, del quod quid est delle cose, ma un insieme che contiene associati i caratteri comuni degli individui. Garrigou-Lagrange, da parte sua, sa qui ben vedere quale sia la differenza tra concetto e immagine comune, che è una differenza specifica:
«L'image commune […] contenait seulement à l'état de juxtaposition les éléments sensibles communs, elle n'en contenait pas la raison d'être […] Prenons maintenant l'idée de l'homme […] Cette idée […] rend tous ces caractères intelligibles en montrant leur raison d'être dans le premier d'entre eux: elle exprime le quod quid est de l'homme. Ce qui fait que l'homme est l'homme ce n'est pas la liberté, la moralité […] c'est la raison: car de la raison toutes les autres notes se déduisent. La rationabilité est rendue elle-même intelligible lorsque nous établissons, comme nous le faisons en ce moment-ci, que la raison d'être des trois opérations de l'esprit est dans la relation essentielle de l'intelligence à l'être» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 47). Il primo oggetto conosciuto, inoltre, dalla nostra intelligenza non è però Dio, ossia l'Esse Ipsum Subsistens, contro l’ontologismo, ma è «l'être intelligible des choses sensibles» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 79).
Nei paragrafi (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, pp. 70-83) dove tratta dei sistemi opposti alla filosofia dell’essere, è da notare come Garrigou-Lagrange si sforzi di cogliere ciò per cui si distinguono dalla filosofia di derivazione aristotelica: e se si evince subito che nominalismo e concettualismo soggettivistico condividono l'infondato presupposto per cui non vi è alcuna intuizione intellettuale, pur conservando il secondo, in maniera incoerente, qualche valore ai primi principi della ragione; il realismo assoluto distinto in razionalismo platonico e ontologismo, teorizza la negazione stessa dell'essere intelligibile immanente delle cose sensibili e la necessità di vedere le loro essenze in Dio, che tuttavia non solo, come dice Garrigou-Lagrange, non spiega affatto il perché dei «sensi» e l'appoggiarsi su questi dell'intelligenza, ma anche, come spiegava Aristotele, criticando la dottrina della partecipazione platonica, lo stesso essere delle cose sensibili, la cui esistenza invece è una evidenza di fatto e ancor più è la prima evidenza del senso comune. La questione dell’oggetto formale dell'intelligenza viene comunque innanzitutto condotta attraverso l'analisi delle tre operazioni dell'intelletto (astrazione universalizzatrice o, come la chiama il nostro, intuizione astrattiva, il giudizio e il ragionamento) dimostrando che sono tutte relazioni intenzionali all'essere:
«l'intelligence sourtout n'est intelligible à elle-même que comme relative à l'être ou à la raison d'être, qui est le centre intelligible de toutes ses idées, le lien de tous ses jugements et de tous ses raisonnements […] L'idée diffère de l’'mage parce qu'elle contient la raison d'être […] Le jugement recompose et restitue à l'être ce que l'abstraction a séparé […] Par le raisonnement enfin nous percevons la raison d'être (extrinsèque) du moins connu dans le plus connu». (GARRIGOU-LAGRANGE, 1936, pp. 43-46)
Dimostrato il valore dell'intelligenza, Garrigou-Lagrange passa a stabilire il valore reale del senso comune come «filosofia rudimentale dell'essere» (pp. 47-50). Tuttavia non va dimenticata la confutazione «per assurdo» del bergsonismo per cui si può dire che le sue stesse tematizzazioni, finanche quella della negazione stessa del valore dell'intelligenza, che è negazione dell'intuizione intellettuale, proprio in quanto tematizzazioni presuppongono tale valore e capacità: e questa è l'incoerenza materiale fondamentale dell'anti-intellettualismo evoluzionistico: il presupporre implicitamente ciò che (l'intelligenza e la sua capacità speculativa) si vuol negare.
Sono di questo tipo le riflessioni che suggeriscono le stesse citazioni che Garrigou-Lagrange fa dei vari Jacob, Poincaré, Couturat che sono stati alcuni oppositori del sistema bergsoniano: e se Couturat controbatteva:
«D'après cette méthode nouvelle, pour connaître les choses telles qu’elles sont, il ne faut pas user de l'intelligence, qui ne peut que les dénaturer, mais se rapprocher de l'expérience brute, se plonger dans le tourbillon des sensations […] se perdre dans l'inconscience. Ce réalisme psychologique […] il se détruit lui-même, car en s'attachant aux données immédiates et en voulant les dégager des formes intellectuelles, il arrive à dissoudre la conscience elle-même et à faire évaporer le moi au sein de la nature» e quindi, aggiungiamo a noi, a far perdere le condizioni essenziali dell'apparire di qualsiasi cosa; Poincaré, soprattutto, faceva perentoriamente notare l'incoerenza materiale del bergsonismo: «Voyons, vous avez écrit de longs articles, il a bien fallu pour cela que vous vous serviez de mots. Et par là n'avez-vous pas été beaucoup plus «discursif» et par conséquent beaucoup plus loin de la vie et de la vérité que l'animal qui vit tout simplement sa philosophie? […] devrons–nous conclure au «primat» de l'action. Toujours est-il que c'est notre intelligence qui conclura ainsi…». Per questo è detto: «Le nominalisme bergsonien n'est pas seulement la négation de la raison qu'il subordonne à la conscience, il paraît être aussi la négation de cette conscience qui se subordonnerait à son tour à la vie animale et végétative» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 63).
È pur vero che Garrigou-Lagrange imposta subito dopo un discorso che è essenzialmente metafisico, ma diciamo con Cottier (in COVINO 2012, p. 32) che «substantiellement, la réfutation est pleinement valable, d'autant que Bergson lui-même, dans L'Evolution créatrice donne à ses analyses du mouvement et de la pluralité une portée métaphysique» (COTTIER 2012, p. 32), dove fondamentale è l'analisi e la confutazione di quella che è la ricaduta da parte del bergsonismo nella stessa assurdità di Hegel che poneva come realtà fondamentale un divenire assolutizzato e cioè una «contraddizione realizzata». L'«idée-maîtresse», dell'opera, rilevata ancora dallo stesso Cottier (cfr COTTIER 2012, p. 29), è però questa:
«l'intelligence spontanée, qui est une vivante relation à l'être, ne peut pas se tromper sur les premiers principes et les grandes vérités qui s'y rattachent, parce qu'elle les perçoit immédiatement impliqués dans l'être, son objet formel et adéquat; obiet formel absolument simple qu’ elle ne peut fausser. Objet adéquat hors des limites duquel elle ne peut sortir» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 97).
In altri termini, è esclusa la teoria dell'illusione naturale della ragione e del senso comune, sia nella formulazione kantiana per cui la facoltà di conoscere si illuderebbe nel suo spontaneo e nativo movimento naturale, sia nel senso bergsoniano per cui l'illusione consisterebbe nell’attribuire una validità e una portata speculativa ai giudizi dell'intelligenza, compresi quelli primordiali e fondamentali del senso comune. Ora in Kant vi era una doppia assurdità: quella per cui ciò che appare è illusione, e allora, diciamo noi, questa illusione è realtà e non illusione, ossia è ciò che appare ed è distinto dall'atto del soggetto che la lascia apparire all'interno dell'unità intenzionale; e quella per cui lo stesso uso critico della ragione, quello che Kant tanto difende, ne risulterebbe inficiato perché questo uso presuppone proprio il movimento naturale della ragione; Bergson invece si trova nell'impossibilità di spiegare la stessa inevitabile tematizzazione e concettualizzazione della sua dottrina perché, l’abbiamo visto, come diceva Poincaré: «Toujours est-il que c'est notre intelligence qui conclura ainsi…».
E così visto che l'oggetto proprio dell'intelligenza è l'essere e che pertanto essa non può avere nessun principio che non sia innanzitutto principio dell'essere, e non può quindi illudersi (altra cosa è l'errore) è chiaro che l'unica filosofia che è contenuta seppur a livello implicito nel senso comune è una filosofia dell'essere che storicamente coincide con la filosofia tradizionale di derivazione aristotelica fatta propria e approfondita dalla Scolastica e in particolare da San Tommaso d'Aquino. La filosofia dell'essere è l'unica che poi può cercare il fondamento ultimo delle evidenze del senso comune:
«Il revient donc - dice ancora Cottier nel saggio citato - à la philosophie de l'être de justifier les certitudes immuables du sens commun. Elle le fait en projetant sur elles la lumière de l'objet formel de l’intelligence»; e Garrigou-Lagrange espressamente insegna «la raison naturelle affirme ce qu'elle voit dans son objet naturel» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 130).
Ed è in questa sua ricerca del fondamento dei dati offerti dall'esperienza che detta filosofia non è altro che lo sviluppo del senso comune. E così si instaura un rapporto tra senso comune e filosofia dell'essere per cui il primo contiene la seconda a livello implicito, o, come dice Garrigou-Lagrange, «à l'état rudimentaire», e la seconda è esplicitazione e sviluppo del primo.
Come dice poi Dario Sacchi, «questo suo [del senso comune] dimorare nella verità è comunque soltanto materiale e non formale (si rammenti la fondamentale distinzione tomistica fra esse in veritate e cognoscere veritatem), il che significa che pur avendo convinzioni valide esso non penetra le ragioni autentiche di tale validità e perciò non è in grado di comprenderne il vero significato e di misurarne la reale portata. La filosofia vera è proprio quella che sa riscattare o inverare sul piano speculativo le persuasioni del common sense; però una tale opera di inveramento è qualcosa che va effettivamente, concretamente eseguito» (SACCHI 2007, p. 149). E diciamo che questo punto è altresì il vero termine di tutto il discorso di Garrigou-Lagrange sul valore e la portata reale del senso comune e della filosofia dell’essere.
E così, seppur con passaggi e riduzioni abbastanza rapide, ad un tempo, nella seconda parte, il nostro teologo riesce a confutare la metafisica evoluzionistica e respingere le critiche mosse alle prove tomistiche dell'esistenza di Dio. Ma come detto ciò che, possiamo dire, costituisce il nucleo, e forse il vero apporto "originale" del padre domenicano, alla dottrina del senso comune, è proprio quello di aver còlto in esso «une philosophie de l'être à l'état rudimentaire» dove questa al suo livello esplicito non è altro che quella scienza dell’ente in quanto ente e dei principi e delle cause che a questo gli competono in quanto tale, secondo la nota definizione aristotelica. In conclusione, Garrigou-Lagrange coglie qui, anche se forse in maniera ancora approssimativa, la nozione autentica di metafisica scientifica, che coincide con la filosofia tradizionale, quale formalizzazione della metafisica spontanea contenuta nel senso comune da cui essa trae le sue stesse definizioni scientifiche o reali:
«Cette philosophie traditionnelle, œuvre des siècles, n'est au fond qu’une perpétuelle justification des solutions du sens commun. Peu à peu elle dégage des définitions nominales ou définitions courantes les définitions réelles qui y étaient implicitement contenues» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, pp. 96-97).
Ecco perché possiamo ben dire che il testo di Garrigou-Lagrange suggerisce ottimi spunti di riflessione anche e soprattutto su quest'ultimo tema, dove si coglie uno degli aspetti più importanti della ineludibile ricerca metafisica, ossia l'aspetto per cui essa è «riflessione critica e sistematica sull'intero dell'esperienza […] che […] ha nel senso comune il suo nucleo veritativo» (LIVI 2010, p. 22) e «che assume il linguaggio del senso comune per indicare il suo proprio referente» (LIVI 2010, p. 30).
Nel suo capolavoro Le sens commun. La philosophie de l'être et les formules dogmatiques Garrigou-Lagrange si sforza preliminarmente di mostrare il valore dell'intelligenza umana fondandolo sulla fenomenologia dell'atto intenzionale vòlto a cogliere l'essere delle cose e pertanto la realtà e i principi ontologici, per cui appare subito confutata qualsiasi teoria soggettivista sia essa razionalistica che anti-intellettualistica. Solo se si mostra che l'essere è l'oggetto formale dell'intelligenza si può passare poi a una più rigorosa fenomenologia e formulazione del valore e della portata del senso comune e delle evidenze primarie in esso contenute. Il filosofo francese, peraltro, dà per la prima volta quella definizione, che colpisce per la sua lucidità e lapidarietà, di senso comune, che ne coglie l'aspetto fondamentale e ciò che essenzialmente è: intelligenza naturale e spontanea, alla base di ogni altro successivo atto di conoscenza. E pertanto ribadire la teoria, centrale nel pensiero di San Tommaso d'Aquino, dell'ens come primum cognitum, mostra tutta l'universalità e insieme l'oggettività della nostra conoscenza e innanzitutto di quella primaria e originaria. Assume qui una parte importantissima la confutazione del nominalismo evoluzionistico di matrice bergsoniana. Nel confutare la teoria nominalistica di Le Roy e le altre teorie opposte alla filosofia dell'essere, Garrigou-Lagrange si muove rilevandone le assurdità interne e mostrando la validità della teoria concettualistico-realista del senso comune e l'intrinseco rapporto tra la filosofia tradizionale e le prime certezze dell'intelligenza spontanea e naturale. E per prima cosa dimostra che la teoria dell’intuizione bergsoniana per cui l'intelligenza è ridotta a facoltà pratica e il concetto a semplice immagine (sensibile) seppur accompagnata da un nome (un nome privo di significato intelligibile) cade invece nell'incosciente. La critica è fortissima, perché Bergson e i suoi discepoli, Le Roy compreso, si trovano a non poter così più giustificare la coscienza medesima della intuizione e della stessa durata (ossia la res che, secondo la teoria bergsoniana, sarebbe l'oggetto della detta intuizione) e per ciò stesso la inevitabile concettualizzazione pur presente nelle loro opere. Garrigou-Lagrange, nel compiere questo discorso confutativo si è molto basato sulle osservazioni critiche di Jacob, Couturat e Poincaré. Tuttavia è agli accenni a questi tre intellettuali suddetti che si riduce la confutazione dal punto di vista epistemico del nostro, mentre prevale la discussione delle conseguenze metafisiche degli stessi principi bergsoniani, come rammenta il già citato Cottier: «Le P. Garrigou-Lagrange tend à ramener directement les questions au niveau métaphysique, sans prêter attention aux médiations épistémologiques» (COTTIER in COVINO 2012, p. 26). Se sviluppata, questa critica epistemica, come riteniamo, può invece essere di grande aiuto in quello che Sofia Vanni Rovighi chiamava «eliminazione dei pregiudizi» (cfr VANNI ROVIGHI 1962, pp. 97-98). Ovviamente la critica epistemica ha anche l'altra faccia di «logica aletica», ovvero di valutazione del risultato del processo conoscitivo in rapporto al "valore-verità" che si pone, come dice Livi (cfr LIVI 2005, p.57), come «ricerca di ciò che in ogni discorso e nel pensiero come tale è fondamentale e fondativo», che «esige un approccio alla materia che sia olistico (che prenda cioè sistematicamente in considerazione il contesto di ogni discorso, ossia tutte le sue presupposizioni) e anche fondazionistico (ossia capace di individuare nel contesto le presupposizioni di base che costituiscono le condizioni di possibilità per l'enunciazione della verità)». E possiamo dire altresì che il criterio di base di questa risoluzione aletica consiste proprio in quello fondamentale dell'evidenza oggettiva o dell'essere evidente per cui come spiega Garrigou-Lagrange: «La connaissance étant connaissance de quelque chose doit être déterminée par ce quelque chose et l'atteindre, sous peine de n'en pas être la connaissance» (GARRIGOU-LAGRANGE,1936, p.135). L'idea stessa, il concetto, non è che la pura rappresentazione nella mente della res appresa. C'è da dire anche che il punto in cui Garrigou-Lagrange sviluppa la dottrina suddetta dell’evidenza oggettiva o dell’essere evidente (Parte I, cap. 2, par. 14) è lo stesso in cui inserisce pure la stessa critica alla scuola scozzese del senso comune, accusata di appoggiarsi, nel suo discorso confutativo dell'empirismo scettico, sul senso comune senza giustificarlo, lasciando trasparire così facendo una sorta di accettazione da parte loro degli stessi pregiudizi degli avversari, delle stesse premesse di questi ultimi, parlando del senso comune come di un vago istinto (instinct) mentre l'intelligenza «lorsqu'elle juge et affirme sa conformité avec l'objet, voit cette conformité ou ne la voit pas. Si elle la voit, sa certitude ne s'appuie plus sur l'instinct dont parlent Reid et Jouffroy» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 135). Ed è chiaro che al modo degli scozzesi non si confutano affatto quelle correnti di pensiero che, come le chiama il nostro teologo, non sono altro che «processi al senso comune» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 26). Insomma è una critica ai modi velleitari di questi pensatori pur anti-scettici, almeno nelle intenzioni. Un altro punto importante della disamina del domenicano francese è che proprio se non si ammette l'intelligenza come essenzialmente relativa all'essere, a tutto l'essere, suo oggetto formale, si arriva ad annullare la stessa auto-coscienza. Nel secondo paragrafo del primo capitolo della prima parte è sviluppato fondamentalmente questo concetto: non si può confutare il nominalismo e in generale, diciamo noi prendendo spunto dal testo, le filosofie cosiddette immanentistiche, senza mostrare che l'oggetto formale dell'intelligenza sia l'essere, e che questa è condizione necessaria per la conoscenza che si ha della stessa conoscenza (auto-coscienza o coscienza della coscienza) e che pertanto «le morcelage du continu sensible», di cui parlava Le Roy, è invece «celui de l'être ou de l'intelligible», ossia le distinzioni di potenza e atto, sostanza e accidenti, essenza ed atto d'essere, ecc.. Ma le Roy parlava in quei termini dell'intelligenza perché si basava sulla teoria nominalistica il cui punto di partenza è proprio l'assimilazione del concetto, o immagine mentale, all'immagine sensibile, vedendo in esso non l'espressione dell'universale, del quod quid est delle cose, ma un insieme che contiene associati i caratteri comuni degli individui. Garrigou-Lagrange, da parte sua, sa qui ben vedere quale sia la differenza tra concetto e immagine comune, che è una differenza specifica:
«L'image commune […] contenait seulement à l'état de juxtaposition les éléments sensibles communs, elle n'en contenait pas la raison d'être […] Prenons maintenant l'idée de l'homme […] Cette idée […] rend tous ces caractères intelligibles en montrant leur raison d'être dans le premier d'entre eux: elle exprime le quod quid est de l'homme. Ce qui fait que l'homme est l'homme ce n'est pas la liberté, la moralité […] c'est la raison: car de la raison toutes les autres notes se déduisent. La rationabilité est rendue elle-même intelligible lorsque nous établissons, comme nous le faisons en ce moment-ci, que la raison d'être des trois opérations de l'esprit est dans la relation essentielle de l'intelligence à l'être» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 47). Il primo oggetto conosciuto, inoltre, dalla nostra intelligenza non è però Dio, ossia l'Esse Ipsum Subsistens, contro l’ontologismo, ma è «l'être intelligible des choses sensibles» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 79).
Nei paragrafi (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, pp. 70-83) dove tratta dei sistemi opposti alla filosofia dell’essere, è da notare come Garrigou-Lagrange si sforzi di cogliere ciò per cui si distinguono dalla filosofia di derivazione aristotelica: e se si evince subito che nominalismo e concettualismo soggettivistico condividono l'infondato presupposto per cui non vi è alcuna intuizione intellettuale, pur conservando il secondo, in maniera incoerente, qualche valore ai primi principi della ragione; il realismo assoluto distinto in razionalismo platonico e ontologismo, teorizza la negazione stessa dell'essere intelligibile immanente delle cose sensibili e la necessità di vedere le loro essenze in Dio, che tuttavia non solo, come dice Garrigou-Lagrange, non spiega affatto il perché dei «sensi» e l'appoggiarsi su questi dell'intelligenza, ma anche, come spiegava Aristotele, criticando la dottrina della partecipazione platonica, lo stesso essere delle cose sensibili, la cui esistenza invece è una evidenza di fatto e ancor più è la prima evidenza del senso comune. La questione dell’oggetto formale dell'intelligenza viene comunque innanzitutto condotta attraverso l'analisi delle tre operazioni dell'intelletto (astrazione universalizzatrice o, come la chiama il nostro, intuizione astrattiva, il giudizio e il ragionamento) dimostrando che sono tutte relazioni intenzionali all'essere:
«l'intelligence sourtout n'est intelligible à elle-même que comme relative à l'être ou à la raison d'être, qui est le centre intelligible de toutes ses idées, le lien de tous ses jugements et de tous ses raisonnements […] L'idée diffère de l’'mage parce qu'elle contient la raison d'être […] Le jugement recompose et restitue à l'être ce que l'abstraction a séparé […] Par le raisonnement enfin nous percevons la raison d'être (extrinsèque) du moins connu dans le plus connu». (GARRIGOU-LAGRANGE, 1936, pp. 43-46)
Dimostrato il valore dell'intelligenza, Garrigou-Lagrange passa a stabilire il valore reale del senso comune come «filosofia rudimentale dell'essere» (pp. 47-50). Tuttavia non va dimenticata la confutazione «per assurdo» del bergsonismo per cui si può dire che le sue stesse tematizzazioni, finanche quella della negazione stessa del valore dell'intelligenza, che è negazione dell'intuizione intellettuale, proprio in quanto tematizzazioni presuppongono tale valore e capacità: e questa è l'incoerenza materiale fondamentale dell'anti-intellettualismo evoluzionistico: il presupporre implicitamente ciò che (l'intelligenza e la sua capacità speculativa) si vuol negare.
Sono di questo tipo le riflessioni che suggeriscono le stesse citazioni che Garrigou-Lagrange fa dei vari Jacob, Poincaré, Couturat che sono stati alcuni oppositori del sistema bergsoniano: e se Couturat controbatteva:
«D'après cette méthode nouvelle, pour connaître les choses telles qu’elles sont, il ne faut pas user de l'intelligence, qui ne peut que les dénaturer, mais se rapprocher de l'expérience brute, se plonger dans le tourbillon des sensations […] se perdre dans l'inconscience. Ce réalisme psychologique […] il se détruit lui-même, car en s'attachant aux données immédiates et en voulant les dégager des formes intellectuelles, il arrive à dissoudre la conscience elle-même et à faire évaporer le moi au sein de la nature» e quindi, aggiungiamo a noi, a far perdere le condizioni essenziali dell'apparire di qualsiasi cosa; Poincaré, soprattutto, faceva perentoriamente notare l'incoerenza materiale del bergsonismo: «Voyons, vous avez écrit de longs articles, il a bien fallu pour cela que vous vous serviez de mots. Et par là n'avez-vous pas été beaucoup plus «discursif» et par conséquent beaucoup plus loin de la vie et de la vérité que l'animal qui vit tout simplement sa philosophie? […] devrons–nous conclure au «primat» de l'action. Toujours est-il que c'est notre intelligence qui conclura ainsi…». Per questo è detto: «Le nominalisme bergsonien n'est pas seulement la négation de la raison qu'il subordonne à la conscience, il paraît être aussi la négation de cette conscience qui se subordonnerait à son tour à la vie animale et végétative» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 63).
È pur vero che Garrigou-Lagrange imposta subito dopo un discorso che è essenzialmente metafisico, ma diciamo con Cottier (in COVINO 2012, p. 32) che «substantiellement, la réfutation est pleinement valable, d'autant que Bergson lui-même, dans L'Evolution créatrice donne à ses analyses du mouvement et de la pluralité une portée métaphysique» (COTTIER 2012, p. 32), dove fondamentale è l'analisi e la confutazione di quella che è la ricaduta da parte del bergsonismo nella stessa assurdità di Hegel che poneva come realtà fondamentale un divenire assolutizzato e cioè una «contraddizione realizzata». L'«idée-maîtresse», dell'opera, rilevata ancora dallo stesso Cottier (cfr COTTIER 2012, p. 29), è però questa:
«l'intelligence spontanée, qui est une vivante relation à l'être, ne peut pas se tromper sur les premiers principes et les grandes vérités qui s'y rattachent, parce qu'elle les perçoit immédiatement impliqués dans l'être, son objet formel et adéquat; obiet formel absolument simple qu’ elle ne peut fausser. Objet adéquat hors des limites duquel elle ne peut sortir» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 97).
In altri termini, è esclusa la teoria dell'illusione naturale della ragione e del senso comune, sia nella formulazione kantiana per cui la facoltà di conoscere si illuderebbe nel suo spontaneo e nativo movimento naturale, sia nel senso bergsoniano per cui l'illusione consisterebbe nell’attribuire una validità e una portata speculativa ai giudizi dell'intelligenza, compresi quelli primordiali e fondamentali del senso comune. Ora in Kant vi era una doppia assurdità: quella per cui ciò che appare è illusione, e allora, diciamo noi, questa illusione è realtà e non illusione, ossia è ciò che appare ed è distinto dall'atto del soggetto che la lascia apparire all'interno dell'unità intenzionale; e quella per cui lo stesso uso critico della ragione, quello che Kant tanto difende, ne risulterebbe inficiato perché questo uso presuppone proprio il movimento naturale della ragione; Bergson invece si trova nell'impossibilità di spiegare la stessa inevitabile tematizzazione e concettualizzazione della sua dottrina perché, l’abbiamo visto, come diceva Poincaré: «Toujours est-il que c'est notre intelligence qui conclura ainsi…».
E così visto che l'oggetto proprio dell'intelligenza è l'essere e che pertanto essa non può avere nessun principio che non sia innanzitutto principio dell'essere, e non può quindi illudersi (altra cosa è l'errore) è chiaro che l'unica filosofia che è contenuta seppur a livello implicito nel senso comune è una filosofia dell'essere che storicamente coincide con la filosofia tradizionale di derivazione aristotelica fatta propria e approfondita dalla Scolastica e in particolare da San Tommaso d'Aquino. La filosofia dell'essere è l'unica che poi può cercare il fondamento ultimo delle evidenze del senso comune:
«Il revient donc - dice ancora Cottier nel saggio citato - à la philosophie de l'être de justifier les certitudes immuables du sens commun. Elle le fait en projetant sur elles la lumière de l'objet formel de l’intelligence»; e Garrigou-Lagrange espressamente insegna «la raison naturelle affirme ce qu'elle voit dans son objet naturel» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, p. 130).
Ed è in questa sua ricerca del fondamento dei dati offerti dall'esperienza che detta filosofia non è altro che lo sviluppo del senso comune. E così si instaura un rapporto tra senso comune e filosofia dell'essere per cui il primo contiene la seconda a livello implicito, o, come dice Garrigou-Lagrange, «à l'état rudimentaire», e la seconda è esplicitazione e sviluppo del primo.
Come dice poi Dario Sacchi, «questo suo [del senso comune] dimorare nella verità è comunque soltanto materiale e non formale (si rammenti la fondamentale distinzione tomistica fra esse in veritate e cognoscere veritatem), il che significa che pur avendo convinzioni valide esso non penetra le ragioni autentiche di tale validità e perciò non è in grado di comprenderne il vero significato e di misurarne la reale portata. La filosofia vera è proprio quella che sa riscattare o inverare sul piano speculativo le persuasioni del common sense; però una tale opera di inveramento è qualcosa che va effettivamente, concretamente eseguito» (SACCHI 2007, p. 149). E diciamo che questo punto è altresì il vero termine di tutto il discorso di Garrigou-Lagrange sul valore e la portata reale del senso comune e della filosofia dell’essere.
E così, seppur con passaggi e riduzioni abbastanza rapide, ad un tempo, nella seconda parte, il nostro teologo riesce a confutare la metafisica evoluzionistica e respingere le critiche mosse alle prove tomistiche dell'esistenza di Dio. Ma come detto ciò che, possiamo dire, costituisce il nucleo, e forse il vero apporto "originale" del padre domenicano, alla dottrina del senso comune, è proprio quello di aver còlto in esso «une philosophie de l'être à l'état rudimentaire» dove questa al suo livello esplicito non è altro che quella scienza dell’ente in quanto ente e dei principi e delle cause che a questo gli competono in quanto tale, secondo la nota definizione aristotelica. In conclusione, Garrigou-Lagrange coglie qui, anche se forse in maniera ancora approssimativa, la nozione autentica di metafisica scientifica, che coincide con la filosofia tradizionale, quale formalizzazione della metafisica spontanea contenuta nel senso comune da cui essa trae le sue stesse definizioni scientifiche o reali:
«Cette philosophie traditionnelle, œuvre des siècles, n'est au fond qu’une perpétuelle justification des solutions du sens commun. Peu à peu elle dégage des définitions nominales ou définitions courantes les définitions réelles qui y étaient implicitement contenues» (GARRIGOU-LAGRANGE 1936, pp. 96-97).
Ecco perché possiamo ben dire che il testo di Garrigou-Lagrange suggerisce ottimi spunti di riflessione anche e soprattutto su quest'ultimo tema, dove si coglie uno degli aspetti più importanti della ineludibile ricerca metafisica, ossia l'aspetto per cui essa è «riflessione critica e sistematica sull'intero dell'esperienza […] che […] ha nel senso comune il suo nucleo veritativo» (LIVI 2010, p. 22) e «che assume il linguaggio del senso comune per indicare il suo proprio referente» (LIVI 2010, p. 30).